giovedì 6 ottobre 2011

cercare lavoro


se penso alle lettere che mandavo appena uscità dall'università, o pochi mesi prima di laurearmi, ai potenziali datori di lavoro, mi commuovo pensando al tono di reverenza, e ai grandi ideali che trasudavano. non riuscivoi a spiegarmi perché nonostante il mio entusiasmo e la mia enfasi, non stessi già facendo, strapagata of course, il lavoro dei miei sogni.
scrivevo queste lettere cercando di convincerli.
naturalmente passavano i miei mesi e il mio entusiasmo scemava.
il punto di non ritorno è stato un colloquio in adecco. mi ritrovo a cinguettare in inglese davanti a questa mia coetanea, che dopo avermi fatto parlare per 10 minuti conclude dicendo "beh, metto la crocetta, credo che lei parli bene l'inglese, ma io nbon ho capito nulla perché non lo parlo".
in quel momento li ho odiati tutti. ho capito che per non avere più niente a che fare con loro dovevo diventare potente. avere un lavoro.
anni dopo mi trovo punto a capo. con una certa soddisfazione ho notato che le agenzie iterinali sono quasi scomparse. la mia fanciulla dell'adecco si sarà trovata davanti a qualche cretino che non capiva la lingua straniera in cui faceva il colloquio e avrà provato la mia stessa frustrazione.
ora inizio a chiedermi se mandare un curriculum in cui fa bella mostra un master sia una buona idea. mi fa sentire così cretina. e mi chiedo com'è possibile che sia al punto in cui ero 4 anni fa. anzi un po' peggio, perché questi anni mi hanno privata degli alti ideali che avevo una volta. sarà il realismo, ma nell'ultima settimana mi sono trovata a scrivere alle testate più chic di condé nast e a grom,
a spiegare ai photoeditor di D perché mi piacciono le loro fotografie e a eataly che siamo ciò che mangiamo.
una donna de panza insomma.
spedire curriculum a persone che sembravano più disperate di me, aziende che stanno licenziando o fanno cassa integrazione, uffici senza mobili.
dire all'impiegato della temporary, circa mio coetaneo, che vorrei un lavoro per pagare l'affitto, e lui, che stava dall'altra parte della scrivania, dirmi che viveva ancora con i genitori.
uno scenario misero, infelice.
e non riesco ad accettare la frase che quando si chiude una porta si apre un portone, non dopo quello che sto vedendo, le persone con cui mi confronto.
mi sa che questa porta starà chiusa fino alla prossima generazione e noi guarderemo la giostra che gira.