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giovedì 29 settembre 2011
mercoledì 6 luglio 2011
Venere nera nella casa
L'altro giorno sono andata a vedere Venere Nera.
è un film tratto da una vicenda realmente avvenuta: la storia di Sarah, una giovane boscimana arrivata in europa e costretta in gabbia a esibirsi davanti a un pubblico pagante, in qualche specie di freak show.
Oltre a essere una riflessione abbastanza interessante sullo sfruttamento dell'immigrazione, mi ha fatto pensare ai reclusi del grande fratello, in una gabbia dorata felici di esibirsi davanti a un pubblico labilmente pagante.
Penso a come è mutato il rapporto tra sesso, denaro e celebrità.
a quanto le scelte siano davvero spontanee, ora forse non siamo più costretti dalla fame e dalla prigionia ma da coercizioni più subdole perché invisibili.
e penso a Sarah, uccise dall'ingordigia e dall'ignorante voyerismo dei nostri predecessori, che tanto assomiglia al nostro.
Le foto sono tratte dal film Venere Nera, distribuito in Italia da Lucky red e attualmente nelle sale.
è un film tratto da una vicenda realmente avvenuta: la storia di Sarah, una giovane boscimana arrivata in europa e costretta in gabbia a esibirsi davanti a un pubblico pagante, in qualche specie di freak show.
Oltre a essere una riflessione abbastanza interessante sullo sfruttamento dell'immigrazione, mi ha fatto pensare ai reclusi del grande fratello, in una gabbia dorata felici di esibirsi davanti a un pubblico labilmente pagante.
Penso a come è mutato il rapporto tra sesso, denaro e celebrità.

e penso a Sarah, uccise dall'ingordigia e dall'ignorante voyerismo dei nostri predecessori, che tanto assomiglia al nostro.
Le foto sono tratte dal film Venere Nera, distribuito in Italia da Lucky red e attualmente nelle sale.
mercoledì 29 giugno 2011
martedì 14 giugno 2011
Vita da streghe: Il calendario delle vagine
Vita da streghe: Il calendario delle vagine: "Oliviero Toscani ha realizzato un calendario commerciale le cui immagini sono 12 inquadrature del pube femminile. Non pubblicherò le foto ..."
martedì 7 giugno 2011
Essere donna oggi... a lagos
Da Internazionale #900
Chimamanda Ngozi Adichie, Financial Times, Gran Bretagna
Un’umida sera di due anni fa. Sono in macchina con un amico e abbasso il finestrino per dare la mancia a un ragazzo, uno delle migliaia di giovani disoccupati di Lagos che ciondolano in giro, allegri e pieni di risorse, e ti aiutano a parcheggiare aspettandosi qualche spicciolo. Tiro fuori i soldi dalla mia borsa. Lui li prende con un sorriso riconoscente. Poi guarda il mio amico e dice: “Grazie, signore!”.
Essere relativamente giovane (poco più di trent’anni) e donna in una città della Nigeria significa questo. Stai guidando, un poliziotto ti ferma e delle due l’una: ti guarda con occhi maliziosi dicendo “bella zietta, mi vuoi sposare?”, oppure sogghigna e lascia nell’aria una domanda così pesante che non c’è neppure bisogno di darle voce: “Chi è l’uomo che ti ha comprato questa macchina e cos’hai dovuto fare per convincerlo?”. Hai un’alternativa: recitare la parte della donna dura e arrabbiata quindi offendere la sua virilità, con il risultato che ti costringerà a parcheggiare sul lato della strada pretendendo un documento dopo l’altro. Oppure recitare la parte della giovane smorfiosa e lusingare la sua mascolinità, già resa fragile da una paga misera e varie altre vergogne dello stato nigeriano. È un’alternativa che mi rende furiosa. Sono furiosa per l’idea scontata in partenza che essere giovane e donna significhi non essere in grado di guadagnarsi da vivere senza un uomo. Eppure. A volte faccio la smorfiosa e sorrido, perché sono in ritardo oppure ho caldo o semplicemente perché non sono abbastanza fedele ai miei princìpi femministi.
Ho un’amica che, apparentemente, è un modello da imitare. È bella, ha due lauree di un college americano della Ivy League e un marito affascinante con lo stesso curriculum accademico, ha due figli che hanno cominciato a leggere a due anni, sulle riviste è sempre ai primi posti nella classifica delle donne nigeriane di successo, negli ultimi dieci anni ha lavorato in società di consulenza, gestione di hedge fund e organizzazioni non governative, insegna alle ragazze come avere successo in un mondo dominato dagli uomini. Eppure.
Un giorno mi ha detto di aver smesso di concedere interviste perché al marito non piacevano le sue foto sui giornali, e di avere anche deciso di prendere il cognome del marito perché lui era seccato che sul lavoro lei continuasse a usare il suo. Espressioni come “onorarlo” e “per la serenità del mio matrimonio” le sono rotolate giù dalla bocca formando quello che ho visualizzato come un tizzone rovente di autocontrollo.
Un’altra mia amica è molto attraente, molto istruita, siede nel consiglio di amministrazione di varie aziende e si occupa di quelle attività di management che per me sono arabo. È nubile. Ha qualche anno più di me, ma sembra molto più giovane. La prima volta che ha partecipato alla riunione di un consiglio di amministrazione un uomo, dopo esserle stato presentato, le ha chiesto: “Lei di chi è moglie o figlia?”. Perché secondo lui quella era l’unica possibile spiegazione della sua presenza lì. È venuto fuori che lei era l’amministratore delegato. Eppure. Vive in una città dove le sue amiche non sognano di diventare amministratore delegato, ma di sposarne uno, una città dove il fatto di non essere sposata è considerato un affronto, dove il matrimonio comporta più prestigio sociale e politico di quanto dovrebbe.
Un’altra mia amica è una scrittrice di talento, una donna schietta che innervosisce la gente discutendo apertamente di sesso, una donna che si definisce femminista e parla molto di uguaglianza di genere e di cambiare il sistema. Eppure. Guadagna più del marito, ma una volta mi ha raccontato che era lui a pagare l’affitto, perché quello è un dovere dell’uomo. “Anche se lui è in bolletta e io ho soldi, per poter pagare l’affitto va a chiedere un prestito”. Ha fatto una pausa, arrotolandosi questa contraddizione intorno alla lingua, e poi ha aggiunto. “Forse è per via della nostra cultura. È quello che loro ci hanno insegnato”.
Quel “loro” c’è sempre, ovviamente. Due anni fa mio cognato e io come al solito parlavamo di politica, sprofondati nei divani del suo salotto di Lagos.
“Credo che tra qualche anno mi candiderò per diventare governatrice”, ho detto con l’aria pensosa di chi crede solo in parte a quello che dice.
“Non diventeresti mai governatrice”, ha subito reagito mio cognato. “Potresti diventare senatrice, non governatrice. Non una donna”.
Quello che voleva dire è che un governatore ha troppo potere e controlla troppi soldi, e nessuna di queste cose poteva essere lasciata a una donna da questi invisibili “loro”. Eppure. So benissimo che quindici anni fa non avrebbe detto “potresti diventare senatrice”. Il governo civile ha permesso una maggiore partecipazione delle donne alla politica e i ministri più popolari ed efficaci degli ultimi dieci anni sono stati donne. Nei prossimi dieci anni, mio cognato probabilmente sarà smentito dai fatti. Nei prossimi trent’anni sicuramente sarà smentito dai fatti. Però dovrebbe essere sposata, la donna che diventerà governatrice.
Il mio primo romanzo è entrato nei programmi di liceo dell’Africa Occidentale. Il mio secondo romanzo si studia all’università. Una domanda che sono quasi sempre sicura di sentirmi rivolgere nelle interviste è qualche variante di: apprezziamo il lavoro che sta facendo e i suoi romanzi sono importanti, ma quand’è che si sposa? Io rifiuto di accettare che l’istituzione del matrimonio sia quello che mi dà valore, e rifiuto di apparire stupida, timida o entrambe. È un equilibrio precario.
“Farebbe questa domanda a uno scrittore maschio della mia età?”, ho chiesto una volta a un giornalista di Lagos.
“No”, ha risposto guardandomi come se fossi un po’ scema. “Ma lei non è un maschio”.
Traduzione di Giuseppina Cavallo.
Internazionale, numero 900, 2 giugno 2011
Chimamanda Ngozi Adichie è una scrittrice nigeriana nata nel 1977. È autrice di L’ibisco viola
e Metà di un sole giallo
. Questo articolo è uscito sul Financial Times con il titolo “A young female is unsuccessful without a man in Nigeria?”
Chimamanda Ngozi Adichie, Financial Times, Gran Bretagna

Essere relativamente giovane (poco più di trent’anni) e donna in una città della Nigeria significa questo. Stai guidando, un poliziotto ti ferma e delle due l’una: ti guarda con occhi maliziosi dicendo “bella zietta, mi vuoi sposare?”, oppure sogghigna e lascia nell’aria una domanda così pesante che non c’è neppure bisogno di darle voce: “Chi è l’uomo che ti ha comprato questa macchina e cos’hai dovuto fare per convincerlo?”. Hai un’alternativa: recitare la parte della donna dura e arrabbiata quindi offendere la sua virilità, con il risultato che ti costringerà a parcheggiare sul lato della strada pretendendo un documento dopo l’altro. Oppure recitare la parte della giovane smorfiosa e lusingare la sua mascolinità, già resa fragile da una paga misera e varie altre vergogne dello stato nigeriano. È un’alternativa che mi rende furiosa. Sono furiosa per l’idea scontata in partenza che essere giovane e donna significhi non essere in grado di guadagnarsi da vivere senza un uomo. Eppure. A volte faccio la smorfiosa e sorrido, perché sono in ritardo oppure ho caldo o semplicemente perché non sono abbastanza fedele ai miei princìpi femministi.
Ho un’amica che, apparentemente, è un modello da imitare. È bella, ha due lauree di un college americano della Ivy League e un marito affascinante con lo stesso curriculum accademico, ha due figli che hanno cominciato a leggere a due anni, sulle riviste è sempre ai primi posti nella classifica delle donne nigeriane di successo, negli ultimi dieci anni ha lavorato in società di consulenza, gestione di hedge fund e organizzazioni non governative, insegna alle ragazze come avere successo in un mondo dominato dagli uomini. Eppure.
Un giorno mi ha detto di aver smesso di concedere interviste perché al marito non piacevano le sue foto sui giornali, e di avere anche deciso di prendere il cognome del marito perché lui era seccato che sul lavoro lei continuasse a usare il suo. Espressioni come “onorarlo” e “per la serenità del mio matrimonio” le sono rotolate giù dalla bocca formando quello che ho visualizzato come un tizzone rovente di autocontrollo.
Un’altra mia amica è molto attraente, molto istruita, siede nel consiglio di amministrazione di varie aziende e si occupa di quelle attività di management che per me sono arabo. È nubile. Ha qualche anno più di me, ma sembra molto più giovane. La prima volta che ha partecipato alla riunione di un consiglio di amministrazione un uomo, dopo esserle stato presentato, le ha chiesto: “Lei di chi è moglie o figlia?”. Perché secondo lui quella era l’unica possibile spiegazione della sua presenza lì. È venuto fuori che lei era l’amministratore delegato. Eppure. Vive in una città dove le sue amiche non sognano di diventare amministratore delegato, ma di sposarne uno, una città dove il fatto di non essere sposata è considerato un affronto, dove il matrimonio comporta più prestigio sociale e politico di quanto dovrebbe.
Un’altra mia amica è una scrittrice di talento, una donna schietta che innervosisce la gente discutendo apertamente di sesso, una donna che si definisce femminista e parla molto di uguaglianza di genere e di cambiare il sistema. Eppure. Guadagna più del marito, ma una volta mi ha raccontato che era lui a pagare l’affitto, perché quello è un dovere dell’uomo. “Anche se lui è in bolletta e io ho soldi, per poter pagare l’affitto va a chiedere un prestito”. Ha fatto una pausa, arrotolandosi questa contraddizione intorno alla lingua, e poi ha aggiunto. “Forse è per via della nostra cultura. È quello che loro ci hanno insegnato”.
Quel “loro” c’è sempre, ovviamente. Due anni fa mio cognato e io come al solito parlavamo di politica, sprofondati nei divani del suo salotto di Lagos.
“Credo che tra qualche anno mi candiderò per diventare governatrice”, ho detto con l’aria pensosa di chi crede solo in parte a quello che dice.
“Non diventeresti mai governatrice”, ha subito reagito mio cognato. “Potresti diventare senatrice, non governatrice. Non una donna”.
Quello che voleva dire è che un governatore ha troppo potere e controlla troppi soldi, e nessuna di queste cose poteva essere lasciata a una donna da questi invisibili “loro”. Eppure. So benissimo che quindici anni fa non avrebbe detto “potresti diventare senatrice”. Il governo civile ha permesso una maggiore partecipazione delle donne alla politica e i ministri più popolari ed efficaci degli ultimi dieci anni sono stati donne. Nei prossimi dieci anni, mio cognato probabilmente sarà smentito dai fatti. Nei prossimi trent’anni sicuramente sarà smentito dai fatti. Però dovrebbe essere sposata, la donna che diventerà governatrice.
Il mio primo romanzo è entrato nei programmi di liceo dell’Africa Occidentale. Il mio secondo romanzo si studia all’università. Una domanda che sono quasi sempre sicura di sentirmi rivolgere nelle interviste è qualche variante di: apprezziamo il lavoro che sta facendo e i suoi romanzi sono importanti, ma quand’è che si sposa? Io rifiuto di accettare che l’istituzione del matrimonio sia quello che mi dà valore, e rifiuto di apparire stupida, timida o entrambe. È un equilibrio precario.
“Farebbe questa domanda a uno scrittore maschio della mia età?”, ho chiesto una volta a un giornalista di Lagos.
“No”, ha risposto guardandomi come se fossi un po’ scema. “Ma lei non è un maschio”.
Traduzione di Giuseppina Cavallo.
Internazionale, numero 900, 2 giugno 2011
Chimamanda Ngozi Adichie è una scrittrice nigeriana nata nel 1977. È autrice di L’ibisco viola
Illustrazione di Angelo Monne.
lunedì 16 agosto 2010
dalla A alla Z
Abbigliamento: quest'anno la moda sono gli ombrelli, proprio nel senso etimologico del termine, ovvero oggetti per farsi ombra. era il must have di tokyo e anche in corea le donne ne sono armate, forse per avere un po' di spazio personale, visto che di sole neanche l'ombra.
Bambini: la differerenza tra i bambini giapponesi e quelli coreani e' che i primi sono bambini ma carini, i secondi sono carini ma bambini
Cibo: e qui dovrei fare un post a parte. non mi stanchero' mai di ripetere che i giapponesi mangiano il sushi raramente, e di solito pranzano con grosse ciotole con riso, carne e pesce e verdure, oppure con stufati o con noodles. la cucina coreana non l'ho esplorata molto bene, ma e' piccante e carnivora di sicuro. anche qui moltissimi cibi in brodo, la base e' la soia a differenza del tonno del giappone.e poi i piatti principali sono accompagnati da ciotolette di verdure bollite o sottaceto, e dall'immancabile kimchi.
Denaro: ovvero yen e won. la mastercard completamente inutile e' stata il mio fardello quotidiano. i bancomat, spesso in giappone e ancor di piu' in corea non sono abilitati al circuito maestro/cirrus, e trovare banche dove prelevare fuori dalle capitali puo' rivelarsi un'epopea.
Elefanti ahime' assenti
Frutta: soprattutto pesche e melone. piu' cara di qualunque altro cibo qui in commercio, e decisamente molto piu' che da noi.
Granita: ghiaccio tritato finemente e una pallotta di gelato sopra. in giappone poi frutta sciroppata e zucchero liquido, oppure sciroppi colorati. in corea fagioli rossi e mochi.

Internet: a differenza del giappone, dove e' soprattutto sui telefonini, in corea internet e' ovunque. nelle aree di servizio, in metro e nelle comodissime internet bang, ovvero postazioni internet a noleggio.
Lingue straniere: nessuna. nonostante le affermazioni dell'ingegnere coreano con cui ho chiacchierato sul fukuoka -busan che sosteneva essere parlato dalla maggior parte dei suoi connazionali.
Motel: funzionano un po' per dormire un po' come alberghi a ore. sono anonimi ed economici, puliti e attrezzati. la camera ha un grande specchio, shampi vari, pettini e lozioni, oltre a grandi televisori, frigo con dell'acqua e a volte internet.
Nord Corea: "con un vicino ostile la corea e' virtualmente un'isola" cito Lonely Planet. i nordcoreani esistono ma non ci sono, e' un entita' non percepita, almeno turisticamente parlando. tranne che nella DMZ, ovvero la zona di confine. l'acronimo sta x zona demilitarizzata ma ovviamente e' un ossimoro dal momento che e' il confine con la piu' alta concentrazione di militari al mondo. dal sud, e da civili, della nord corea si vede solamente il villaggio di Kijŏngdong, disabitato, e la grande bandiera appesa.
Occidentali: a parte seoul dove ne vivono molti io ne ho incontrati una decina in tutto. si ha la sensazione di essere pionieri in un paese incontaminato dal turismo globale.
Pioggia: qui quando piove lo fa seriamente
Qui si accettano suggerimenti
Religione: per i miei gusti i coreani sono troppo cattolici, ci sono chiese ovunque, ti parlano di gesu' come se fosse il loro vicino di casa indagando sulla fede altrui. inoltre ci sono fanatici che trascinano in giro cartelli e altoparlanti preannunciando l'inferno a chi non si converte al piu' presto. l'altra principale religione e' il buddismo, qui praticato anche nella versione zen, e tao in giappone. I monaci e le monache vivono i comunione nei monasteri, vestono in grigio, hanno i capelli rasati e praticano una dieta vegetariana.

In giappone la religione predominante e' lo shintoismo, ma affiancata anche dal buddismo che predomina per alcune pratiche o fasi della vita, come i funerali. il bello del politeismo!
Sesso: e qui la dissertazione si fa pura astrazione, ma l'alternativa con la S erano i semafori. In Giappone abbonda gioiosa oggettistica e negozi a tema, qui a parte qualche locale di strip non ho visto neppure i profilattici...
Trasporti: chiunque milanese pagherebbe per la capilarita' della metropolinana di Tokyo o Seoul. pulita, puntuale comoda. Gli autobus, soprattutto coreani, ma anche il giappone ha le sue, sono frustranti. il minimo e' prendere l'autobus giusto nella direzione sbagliata.
Uomini: e non poteva mancare la valutazione bieca e sessista! i coreani sono troppo grossi per i miei gusti. sembrano essere tutte braccia, e per essere asiatici hanno troppo naso. quindi purtroppo bocciati. i giapponesi sono sempre bellini, ma quelli davvero carini ormai sono troppo giovani.
Vegetariani: in giappone tuttora non capiscono il concetto. se non mangi carne e pesce allora mangi pollo.
in corea, ovunque eccetto seoul, ti guardano come se stessi architettando una burla mal riuscita. scettici.
a seoul in compenso ho trovato un paio di ristoranti vegetariani, e questo e' bello.
Zaino: meglio lavare 10 volte e portare pochi vestiti.

Bambini: la differerenza tra i bambini giapponesi e quelli coreani e' che i primi sono bambini ma carini, i secondi sono carini ma bambini
Cibo: e qui dovrei fare un post a parte. non mi stanchero' mai di ripetere che i giapponesi mangiano il sushi raramente, e di solito pranzano con grosse ciotole con riso, carne e pesce e verdure, oppure con stufati o con noodles. la cucina coreana non l'ho esplorata molto bene, ma e' piccante e carnivora di sicuro. anche qui moltissimi cibi in brodo, la base e' la soia a differenza del tonno del giappone.e poi i piatti principali sono accompagnati da ciotolette di verdure bollite o sottaceto, e dall'immancabile kimchi.

Denaro: ovvero yen e won. la mastercard completamente inutile e' stata il mio fardello quotidiano. i bancomat, spesso in giappone e ancor di piu' in corea non sono abilitati al circuito maestro/cirrus, e trovare banche dove prelevare fuori dalle capitali puo' rivelarsi un'epopea.
Elefanti ahime' assenti
Frutta: soprattutto pesche e melone. piu' cara di qualunque altro cibo qui in commercio, e decisamente molto piu' che da noi.
Granita: ghiaccio tritato finemente e una pallotta di gelato sopra. in giappone poi frutta sciroppata e zucchero liquido, oppure sciroppi colorati. in corea fagioli rossi e mochi.

Internet: a differenza del giappone, dove e' soprattutto sui telefonini, in corea internet e' ovunque. nelle aree di servizio, in metro e nelle comodissime internet bang, ovvero postazioni internet a noleggio.
Lingue straniere: nessuna. nonostante le affermazioni dell'ingegnere coreano con cui ho chiacchierato sul fukuoka -busan che sosteneva essere parlato dalla maggior parte dei suoi connazionali.
Motel: funzionano un po' per dormire un po' come alberghi a ore. sono anonimi ed economici, puliti e attrezzati. la camera ha un grande specchio, shampi vari, pettini e lozioni, oltre a grandi televisori, frigo con dell'acqua e a volte internet.
Nord Corea: "con un vicino ostile la corea e' virtualmente un'isola" cito Lonely Planet. i nordcoreani esistono ma non ci sono, e' un entita' non percepita, almeno turisticamente parlando. tranne che nella DMZ, ovvero la zona di confine. l'acronimo sta x zona demilitarizzata ma ovviamente e' un ossimoro dal momento che e' il confine con la piu' alta concentrazione di militari al mondo. dal sud, e da civili, della nord corea si vede solamente il villaggio di Kijŏngdong, disabitato, e la grande bandiera appesa.

Occidentali: a parte seoul dove ne vivono molti io ne ho incontrati una decina in tutto. si ha la sensazione di essere pionieri in un paese incontaminato dal turismo globale.
Pioggia: qui quando piove lo fa seriamente
Qui si accettano suggerimenti
Religione: per i miei gusti i coreani sono troppo cattolici, ci sono chiese ovunque, ti parlano di gesu' come se fosse il loro vicino di casa indagando sulla fede altrui. inoltre ci sono fanatici che trascinano in giro cartelli e altoparlanti preannunciando l'inferno a chi non si converte al piu' presto. l'altra principale religione e' il buddismo, qui praticato anche nella versione zen, e tao in giappone. I monaci e le monache vivono i comunione nei monasteri, vestono in grigio, hanno i capelli rasati e praticano una dieta vegetariana.

In giappone la religione predominante e' lo shintoismo, ma affiancata anche dal buddismo che predomina per alcune pratiche o fasi della vita, come i funerali. il bello del politeismo!
Sesso: e qui la dissertazione si fa pura astrazione, ma l'alternativa con la S erano i semafori. In Giappone abbonda gioiosa oggettistica e negozi a tema, qui a parte qualche locale di strip non ho visto neppure i profilattici...
Trasporti: chiunque milanese pagherebbe per la capilarita' della metropolinana di Tokyo o Seoul. pulita, puntuale comoda. Gli autobus, soprattutto coreani, ma anche il giappone ha le sue, sono frustranti. il minimo e' prendere l'autobus giusto nella direzione sbagliata.
Uomini: e non poteva mancare la valutazione bieca e sessista! i coreani sono troppo grossi per i miei gusti. sembrano essere tutte braccia, e per essere asiatici hanno troppo naso. quindi purtroppo bocciati. i giapponesi sono sempre bellini, ma quelli davvero carini ormai sono troppo giovani.
Vegetariani: in giappone tuttora non capiscono il concetto. se non mangi carne e pesce allora mangi pollo.
in corea, ovunque eccetto seoul, ti guardano come se stessi architettando una burla mal riuscita. scettici.
a seoul in compenso ho trovato un paio di ristoranti vegetariani, e questo e' bello.
Zaino: meglio lavare 10 volte e portare pochi vestiti.
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